Street Photographers di Diego Bardone

“Street Photographers”

a cura di Diego Bardone

Diego Bardone

Diego Bardone

Dato per assodato che ognuno di noi abbia dato un perché ed un percome al proprio fotografare (fotografare qualsiasi cosa ci passi sotto il naso non porta davvero da nessuna parte), c’è un aspetto dello stare in strada (che esula totalmente da quella che poi in realtà è la fotografia di strada) che adoro ed è quello che, per forza o per amore, capita quando si vagabonda per le vie delle nostre città, ovvero il contatto con la gente. Per capirci, personalmente se non “rubo” una foto non mi sento mai appagato, però a volte il contatto col le persone va oltre a quella che poi sarà una mera e nuda fotografia. In soldoni a volte capita di interagire con il proprio prossimo (il classico: scusi posso farle una fotografia?) e questo da la possibilità, avendone voglia, di conoscere realtà che altrimenti non “incontreremmo” mai. Due chiacchiere, un racconto, lo scambio di indirizzi, semplici esperienze umane che poi forse anche inconsciamente contribuiscono ad accrescere il nostro bagaglio umano e perché no anche quello fotografico. Nel mio peregrinare per Milano ho spesso avuto la fortuna di “incontrare” persone con cui poi ho allacciato rapporti di amicizia, a differenza di quanto molti pensano le persone se ci si pone nella giusta maniera sono meno diffidenti di quel che si crede, ci vuole anche un minimo di “faccia tosta” e poca timidezza, il che ovviamente non esula assolutamente dal portare rispetto verso il nostro prossimo. Sono convinto che si possa fotografare chiunque e qualsiasi cosa ma dipende sempre da come ci approcciamo verso coloro che poi saranno i protagonisti del nostro fotografare. Trovo del tutto scorretto fotografare (rubando ovviamente) persone in difficoltà o fotografare dileggiando il nostro prossimo. Non è assolutamente vero che in nome del diritto di informazione (quale poi??) ci si possa permettere qualunque tipo di porcheria, a questa stregua invece di rompere i cosiddetti al “prossimo” di cui sopra, toccherebbe avere le palle (io non le ho e non le avrò mai) di prendere armi e bagagli e andare a fotografare in qualche “ameno” posto ai confini del mondo (non l’India…eh!)…che so?? Siria senza elmetto potrebbe essere una bella idea, no? A volte penso che gli “streeters” siano reporters “mancati” (le palle di cui sopra).

Tutti, andiamo “oltre” alla cosiddetta legge sulla privacy ma c’è modo e modo e se si ha l’accuratezza di comportarsi come vorremmo che gli altri si comportassero con noi allora i problemi alla fine sono minimi, diverso è se usiamo i nostri inconsapevoli personaggi per dileggiarli (usare la fisicità, tanto per fare un esempio, di una persona per “creare” fotografie “esilaranti” è azione per me spregevole). Nel caso in cui un giudice decida che la nostra immagine (o la didascalia che l’accompagna) è lesiva della dignità altrui, allora son dolori. Delle fotografie che ritraggono minori non vale nemmeno la pena di parlare, non c’è nessun tipo di compromesso o margine di dialogo: è vietato (ovviamente senza il consenso di chi ne ha la tutela) punto e stop, per cui sarebbe cosa buona e giusta “pensare” e pensare bene prima di “alzare” la macchina fotografica in presenza di minori. Il mondo è “piccolo”, non pensate: “ma sì, cosa vuoi che succeda…”, perché poi quando quel “qualcosa” succede non c’è santo che tenga, sono casini.
Vabbè, siamo tutti “bravi Cristi” e allora in primis “tocca” divertirsi quando fotografiamo, molti spesso si dimenticano del lato “ludico” che dal mio punto di vista è la “molla” principale. Fotografo perché mi diverto come un bimbo in un luna park, non “me la meno” mai e per contro mal sopporto coloro che si struggono in nome dell’arte fotografica (ammesso e non concesso che ci sia arte in fotografia). Divertirsi, avere la voglia di stare in mezzo agli altri sentendosi, come già detto, uno degli altri, avere “qualcosa” da “raccontare” e un minimo di onestà intellettuale, per me questa è la ricetta per essere il perfetto “ometto di strada”, poi va da se che non essendo tutti uguali (per fortuna altrimenti il mondo sarebbe un luogo del tutto “stufoso”) ognuno di noi ha il proprio gusto personale ma questa è altra storia…
Quanto ho scritto in fondo “azzecca” poco con l’idea di “creare” una fotografia che racchiuda il vero senso della “street”, però mi sembra propedeutico per “essere” (o perlomeno cercare di essere…) in armonia con tutto ciò che ci circonda quando impugniamo una macchina fotografica per le strade delle nostre città. Scusate il lessico un filo “crudo” ma questo sono…

by Diego Bardone

Street Photographers di Diego Bardone

“Street Photographers”

a cura di Diego Bardone

Diego Bardone

Diego Bardone

Terza puntata, per certi versi la più difficile visto che Enzo mi ha chiesto di scrivere qualcosa sul sottoscritto e non è mai semplice (o almeno non lo è per me) parlare di se stessi. Comunque sia partendo un minimo dalla tecnica va ricordato che moltissimi streeters non usano autofocus ne automatismi, ma il sistema zonale (e l’iperfocale) che prevede l’uso della scala metrica e diaframmi sufficientemente chiusi. In soldoni si diaframma e sulla scala metrica riportata sulla lente si ottiene una zona in cui c’è la sicurezza di avere tutto a fuoco e si scatta di conseguenza. Questo comporta che non si debba “impazzire” per mettere a fuoco, il che lascia massima libertà nel cercare l’attimo perfetto e la composizione migliore. Molti pensano che scattando in strada e in nome del carpe diem, ciò che sta “intorno” al soggetto abbia una valenza minore e invece dal mio punto di vista soggetto e sfondo devono essere “armonici” pena l’avere una foto “monca”. Per quello che riguarda le focali, va da se che l’uso di “corti” faciliti lo “stare in scena” da parte del fotografo, si dice che se una fotografia non è “buona” è segno che non ti sei avvicinato abbastanza; vero ma con qualche distinguo. Personalmente non sono uno di quei “puristi” che ritengono che oltre il 35mm non si possa fare una “onesta” fotografia di strada (in fondo Cartier Bresson usava prevalentemente il 50mm e immagino che ci sia poco da discutere), di certo, come detto, più ti avvicini e meglio è ma in certi casi anche un medio tele può andare bene, non amo assolutamente invece le immagini fatte con focali lunghe, spesso lasciano il tempo che trovano.
Amo le lenti a focale fissa (ma è questione di gusti) per due motivi: hanno fondamentalmente una qualità migliore e soprattutto obbligano chi scatta ad usare il cervello e le zampette (per cercare il taglio migliore), gli zoom spesso “impigriscono” senza che riusciamo a rendercene conto.
Dato per assodato che la macchina fotografica conta meno di zero (è solo un mezzo, il feticismo per gli aggeggi elettronico/meccanici non mi appartiene) ognuno deve trovare quella che è più consona alle proprie esigenze. Ho usato, senza nessun problema, una Nikon D700 (28,50,24/120) per qualche anno, poi quando i sistemi mirrorless hanno raggiunto un livello qualitativo simile a quello delle reflex sono passato senza nessun rimpianto al sistema X della Fuji. C’è qualità ma soprattutto una portabilità del tutto diversa che permette di avere sempre con se un “oggetto” fotografante. Personalmente, ma come detto non ha una gran importanza, ho una X100s che monta un 23mm (35 equivalente) che uso nel 90% dei casi e una XE1 con il 60mm (90 equivalente) che uso alla bisogna. Due corpi, due lenti (massima libertà d’azione) e se non riesco a fotografare così “agghindato” posso solo prendermela con me stesso (a volte sento la mancanza di una lente più corta 24/28 equivalente ma tant’è…), non c’è davvero bisogno di uscire con zaini pieni come se si andasse in guerra per fare dell’onesta fotografia di strada. Oltretutto avere un corredo limitato aiuta a conoscerne meglio pregi e difetti…

Dunque street è stare nella scena e sistema zonale e allora io fondamentalmente non lo sono, uso (nel 90% dei casi) l’autofocus, diaframmi aperti anche con ottiche corte e sono solito stare “mezzo” passo dietro (non ho nessun problema nel farmi notare) e allora?? E allora non saprei dire, di certo fotografo in strada (o dove capita…musei, bar, mare…) poi quel che sono sinceramente non so e fondamentalmente poco mi interessa. Il mio è un sorta diario quotidiano, un omaggio a coloro, che spesso inconsapevolmente, ho la ventura/fortuna di incontrare nel mio peregrinare per le strade di Milano. E’ come se osservassi me stesso in una sorta di specchio virtuale che trova la sua dimensione nel nostro reale quotidiano. Abbiamo tutti gli stessi volti, le stesse gioie, gli stessi timori, le stesse speranze: io sono loro, loro la trasposizione in immagini delle mie “emozioni” (o perlomeno ci provo…ahahahahahaah!!). E allora Street per me è in primis rispetto per il prossimo (chiunque e qualsiasi cosa può essere fotografata ma “tocca” avere l’approccio giusto, pena il produrre dell’immondezza fotografica senza il minimo senso se non quello di soddisfare degli ego del piffero), passione smodata, una minima dose di onestà intellettuale (che poi è la “molla” che indica il “fine” del nostro fotografare, scattare a cacchio non porta da nessuna parte) e last but not least un minimo di sensibilità nel saper osservare ciò che ci circonda.

Finisco di tediarvi parlando della progettualità. Gran bella cosa ma sono convinto che una fotografia di strada debba reggersi da sola, la progettualità semmai “arriva” nel tempo quando i soggetti ripresi, spesso inconsciamente, si ripetono (Erwitt e la sua infinita serie sui cani lo dimostrano in pieno).

Sono esausto…! Grazie per il vostro tempo 🙂

by Diego Bardone

Street Photographers di Diego Bardone

“Street Photographers”

a cura di Diego Bardone

Diego Bardone

Diego Bardone

Nell’altro articolo abbiamo “ciarlato” un po’ del perché il fotografare in strada è fondamentalmente bello e stimolante, in queste poche righe forse vale la pena dare qualche cenno storico (per quelle che in fondo sono le mie limitate conoscenze).  Eugene Atget, anche se non è stato il primo (ma di sicuro il più “famoso”), viene riconosciuto come padre della fotografia di strada. Da lui in poi Parigi diventerà fulcro di questo genere per quel che riguarda il lato Europeo, basti pensare ai vari HCB (Henri Cartier-Bresson), Doisneau, Izis e Boubat. Personalmente la folgorazione sulla fatidica via di Damasco l’ho avuta assistendo ad una mostra, in quel di Cinisello Balsamo, che racchiudeva in se l’opera di HCB (l’India), Doisneau e Boubat., per cui è facile comprendere come il mio gusto personale sia del tutto influenzato dai succitati. HCB non ha bisogno di presentazioni, così come il buon Doisneau (di cui ho sempre adorato la vena ironica e quel suo “mischiarsi” tra la gente comune andando per le strade sì ma frequentando anche ogni genere di locale) mentre Izis e Boubat sono meno conosciuti ai più. Di loro, veri poeti dello stare in strada, amo quella visione assolutamente romantica e a volte malinconica che immancabilmente hanno “trasmesso” nei loro lavori. Ovviamente è assolutamente questione di gusti, un po’ come quando si dibatteva se fosse meglio il rock americano o quello anglosassone, in fondo di autori di assoluto pregio che hanno fatto la storia della fotografia di strada e non solo (come ho già detto le gabbie sono un limite e la distinzione andrebbe sempre fatta su ciò che è “buona” fotografia e ciò che non lo è) ce ne sono davvero molti. Robert Frank sulla sponda Americana ha mostrato un mondo totalmente diverso dai “romanticoni” di cui sopra, ha dipinto la società Americana per quel che era, lasciando poco o nulla all’immaginazione, ha forse per primo mostrato le strade e le persone che le abitano per quel che sono. Immagini forti, di gran impatto, piene di dettagli e personaggi inseriti con un gusto compositivo fuori dal comune, così come ha fatto Garry Winongrand,

William Klein

William Klein

lui, Frank e Klein (ci sarà una sua retrospettiva a Milano a partire dal Dicembre 2015 ed è un evento assolutamente imperdibile) rappresentano il Tris d’assi Americano in risposta al poker Francese (il tutto badate bene è “limitato” perché non includere Ronis da una parte e Meyerowitz dall’altra per esempio è un “delitto”)…e allora per par condicio va incluso di diritto Elliot Erwitt anche se come stile, modi e approccio è di sicuro più “vicino” ai colleghi Francesi (ed infatti è nato a Parigi anche se poi viene considerato un “americano” verace).

Il consiglio, ma è lapalissiano, è quello di “studiare” quelli che sono stati (e sono ancora) i grandi maestri del passato: si impara di sicuro qualcosa e si “ciba” l’anima…

Per concludere mi preme dire una cosa, spesso si crede che una street photography venga fatta da chi fotografa ma in realtà non è così, ogni fotografia fatta in strada si “riceve” (concetto estrapolato da un bellissimo articolo che ho letto tempo fa), nel senso che è praticamente impossibile pianificare quello che sarà, la bravura di chi sta dietro ad un mirino è dettata dal suo talento, dalla sua abilità di riuscire in qualche modo a “prevedere”, dalla sua esperienza e dalla sua predisposizione d’animo. Si scatta “cercando l’attimo decisivo” (e questo dal mio punto di vista attiene solo al talento) ma il resto davvero è legato al destino e alla fortuna e non è un caso che il buon HCB fosse solito dire che per fare una buona fotografia ci vuole una gran dose di fortuna (il che ovviamente non vuol dire “sparare ad minchiam” su qualsiasi cosa si muove).

Alla prossima, sempre che abbia ancora qualcosa da dire… 🙂

by Diego Bardone

Street Photographers di Diego Bardone

“Street Photographers”

a cura di Diego Bardone

Diego Bardone

Diego Bardone

L’avvento del digitale ha fatto sì che molti in questi ultimi anni si siano avvicinati a questo genere, sinceramente io non ho una ricetta che vada bene per tutto ma di sicuro ho una mia “visione” personale.

Parto dal presupposto che per fotografare in strada ci voglia in primis rispetto per il prossimo, le porcherie che si vedono in giro fatte nel nome del “carpe diem” o del diritto di informazione le detesto con tutte le mie forze e dal mio punto di vista rappresentano solo la pochezza d’animo di coloro i quali brandiscono una macchina fotografica per le vie delle nostre città. Rispetto e poi passione smodata…la passione smodata è quella che ti fa girare per ore senza scattare una immagine (ma con la voglia di uscire il giorno dopo) oppure quella che ti fa aspettare in “eterno” perchè ciò che “hai immaginato” poi si avveri. Quando Abbas dice: “Get a good pair of walking shoes and…fall in love” dice una gran verità…questo è lo stare in strada per me. Tralasciando ogni aspetto tecnico (può essere affrontato in seguito e ci sono varie scuole di pensiero) e di genere (street è Doisneau così come lo è Gilden e sono agli antipodi tra loro) mi verrebbe da dire che una fotografia di strada debba avere in se qualcosa che attiri l’attenzione di chi guarda al primo impatto: le foto non hanno bisogno di nessuna spiegazione ne tantomeno di titoli, devono “parlare” da sole. Il “succo” può essere qualcosa che rafforzi un concetto o qualcosa che lo neghi, può essere un momento ironico o un momento che per certi versi racconti il nostro tempo ma per come la vedo io può anche essere un momento in cui non succede nulla ma che ha in se un soggetto forte, uno sfondo altrettanto importante e una composizione impeccabile. Questa fotografia mi sembra che dimostri in pieno che non necessariamente debba succedere qualcosa di eclatante se l’occhio di chi osserva è “attento” e “sensibile”  http://1x.com/photo/150399/all:user:128817 poi se sia “Street” o meno sinceramente non saprei dire e fondamentalmente non mi interessa, le gabbie spesso sono limitanti e la distinzione andrebbe fatta tra ciò che è “buona” fotografia e ciò che non lo è…

Per quel che vedo a web, molti degli autonominati “streephers” non hanno idea di ciò che fanno e non ce l’hanno per due motivi secondo me: A) L’ignoranza (ovvero la mancanza di una solida cultura fotografica e tra questi per certi versi ci sono anch’io…tocca studiare, documentarsi, leggere libri, osservare mostre e fotografie di altri come fossero “cibo” per il nostro crescere) B) Perchè vivaddio non siamo tutti uguali, se lo fossimo saremmo tutti Salgado e fortunatamente di Salgado ce n’è uno solo. Come a dire che “tocca” sì studiare ed applicarsi ma che “l’estro” è un dono che non tutti hanno.

Personalmente ho sempre un mare di dubbi, detesto poco amabilmente coloro che vivono di certezze e cercano di “imporle” agli altri senza avere ne il carisma ne le capacità per farlo.

Fortunatamente si incontra sempre chi ne sa più di noi e per quel che ho potuto vedere queste persone, se ti poni nel modo giusto, sono sempre disposte ad aiutare… Ci vuole un minimo di umiltà nella vita.

In fondo è vero che siamo ciò che fotografiamo, per cui il mio consiglio è quello di “guardarsi” dentro e capire davvero ciò che vogliamo dal nostro fotografare (in strada in questo caso), è così bello bello vagabondare e stare in mezzo agli altri con una macchina fotografica per le mani sentendosi “uno degli altri”. Penso e ne sono convinto che se riusciamo a sentirci in sintonia con ciò che ci circonda allora siamo anche pronti ad aggiungere il nostro piccolo tassello di memoria (e la fotografia in primis è memoria) per coloro che verranno dopo di noi, tanto più considerando che generalmente le fotografie di strada assumono “valore” con il passare del tempo. Si potrebbero scrivere fiumi di parole ma per il momento mi fermo qui. Se qualcuno ha piacere di dare un occhio aggiungo i link a due collettivi (uno straniero ed uno Italiano) che includono autori di assoluto valore (Matt Stuart è un vero maestro del genere). Grazie a tutti per l’attenzione.

http://http://www.in-public.com/MattStuart/

 http://www.spontanea.org/

by Diego Bardone